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Sui post ripetitivi sull’adozione

Tempo di lettura: 3 min

La narrazione adottiva è ferma ai concetti base: serve un nuovo sguardo sull’adozione, che ascolti davvero gli adulti adottati, riconosca l’identità adottiva e superi l’Adottismo.

Sempre gli stessi concetti. Ma davvero non abbiamo altro da dire sull’adozione?

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Ogni tanto, scorrendo i social, mi capita di vedere gli stessi post ripubblicati da anni. Sempre quelli:

“L’adozione non è salvezza.”

“Il bambino è al centro.”

“I genitori adottivi sono genitori e basta.”

“Un figlio è un figlio.”

“Il linguaggio conta.”

Concetti condivisibili, certo. Ma sono l’ABC del discorso adottivo.

E noi di Punto.Adozione, come adottati adulti, siamo molto oltre quell’alfabeto.

Perché allora questi post continuano a ricomparire ciclicamente?

Perché raccolgono like.

Perché sono rassicuranti.

Perché non mettono a disagio chi fatica a guardare l’adozione nella sua interezza.

Perché sono “sicuri”: non dividono, non disturbano, non pongono domande scomode.

Non chiedono cambiamento. Chiedono solo consenso.

Sono il sintomo di un’adozione ridotta a zona neutra.

E per chi li scrive forse c’è la paura di andare in profondità.

La difficoltà di esporsi davvero. La mancanza di strumenti per leggere la complessità dell’adozione. Il bisogno (umano, ma limitante) di restare in un territorio conosciuto. Il desiderio di sentirsi ancora una volta riconosciuti e applauditi.

Ma oggi più che mai, abbiamo bisogno di altro.

Di narrazioni più vere, più profonde, più difficili da digerire ma necessarie da ascoltare.

Parliamo di identità interrotte.

Parliamo di ricerche delle origini negate.

Parliamo del bisogno di colmare un vuoto insostenibile.

Parliamo del diritto ad avere accesso alla propria storia fin da subito, senza zone d’ombra.

Parliamo di cosa vuol dire essere adottati a 30, 40, 50 anni.

Parliamo del buio, dell’invisibile, del taciuto.

Parliamo soprattutto dell’imperversante Adottismo. Un fenomeno molto più complesso di certe frasi retoriche.

Tutti, ma soprattutto chi ha avuto ruoli pubblici, o una lunga presenza nel mondo dell’adozione, abbiamo una responsabilità: non fermarci ai fondamentali.

Non limitarsi a ciò che “funziona” sui social.

Non restare nel primo capitolo di un libro che può e deve continuare a essere scritto.

Perché il rischio, se restiamo fermi, è grande:

L’adozione smette di essere esperienza viva.

Diventa liturgia, slogan, educazione corretta ma non incarnata.

Diventa ripetizione, non evoluzione.

Diventa racconto che tutela chi adotta, e lascia fuori chi è stato adottato.

Noi adottati adulti non abbiamo bisogno di acqua tiepida.

Abbiamo bisogno di parole che aprano.

Di verità difficili. Di spazi autentici. Di ascolto reale, non solo estetico.

L’adozione ha bisogno di una nuova stagione narrativa, non dell’ennesimo stallo.

Chi vuole restare nel primo capitolo può farlo.

Ma chi sente che c’è un libro intero ancora da scrivere, cominci a farlo. Con noi, con Punto.Adozione.

Basta ripetere. È tempo di evolvere.

Basta acqua tiepida. Abbiamo sete di verità.

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