🎧 Dal mio diario di coaching
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Durante una sessione online di Post-Adoption Coaching con una madre adottiva, mi ha colpita una scena che ancora mi porto addosso.
Leggi tutto: Il ribaltamento dei ruoli nella relazione genitore-figlio adottivo.Stava portando in sessione la sua difficoltà con la figlia adulta, adottata nella prima infanzia, oggi alle prese con una vita difficile, segnata dalla depressione e da una profonda rinuncia.
La madre raccontava il dolore, le fratture, i tentativi di tenere insieme qualcosa che si sbriciola di continuo, che non si risolve, che resta in stallo.
Era la seconda volta che mi narrava quella storia, con lucidità, con il volto segnato, con la voce incrinata.
E proprio in quel momento, la figlia è entrata nella stanza.
Si è avvicinata al viso della madre, ha guardato verso lo schermo e mi ha sorriso.
Un sorriso apparentemente dolce, ma allo stesso tempo compiaciuto, stonato, quasi furbesco.
Poi le ha dato un bacio sulla guancia… e se n’è andata, senza proferire parola.
Quel sorriso mi ha disturbata, più del suo silenzio.
Sembrava dire: conduco io.
Un gesto perfetto per la scena.
La madre è rimasta lì, immobile.
La guancia appena protesa a ricevere quel bacio.
Il volto contratto, ma grato per quel gesto.
Poi ha sussurrato, quasi scusandosi per l’intrusione della figlia:
“Ecco, adesso se ne va.”
Quella scena è rimasta lì, come un chiodo.
E mi ha fatto riaffiorare un ricordo mio.
Il trionfo negli occhi di mia figlia, quella volta che mi ha vista distrutta, in ginocchio davanti al suo dolore e alla mia impotenza.
Un lampo nello sguardo.
Come se, per un attimo, si fosse sentita potente.
Come se la mia fragilità fosse diventata la sua rivincita.
Non è cattiveria, no.
È una forma contorta di sopravvivenza.
Di chi è stato piccolo senza protezione, e ha imparato che controllare l’altro è l’unico modo per non sentirsi perso.
Per sentirsi migliore, perché sei “forte” mentre chi ti è vicino mostra fragilità.
E poi c’è quella rabbia silenziosa, che invece di esplodere intacca l’altro, lo corrode dall’interno.
Una rabbia che non si prende nemmeno la briga di manifestarsi, ma che scivola nell’altro per vie sottili, quasi invisibili.
E mentre l’altro ne assorbe tutto il peso, tu puoi tornare a vivere in superficie, illeso.
Per noi genitori, riconoscerlo è uno strappo.
Perché ci accorgiamo che l’amore che riceviamo non sempre torna nella forma che ci aspettavamo.
A volte ferisce.
A volte è travestito da utilitarismo.
A volte succhia come una sanguisuga, lasciandoti svuotato.
Eppure, è lì che si cresce.
Quando smettiamo di idealizzare.
Quando iniziamo a vedere davvero.
Quando capiamo che anche un gesto d’amore può essere una prova di potere.
E che forse, la cosa più difficile, è continuare ad amare senza farsi più usare.
📝 Come Life&Adoption Coach, accompagno genitori adottivi e adottati adulti dentro storie complesse, relazioni faticose, legami che cercano voce.
Ho chiesto il permesso alla mia coachee di riportare questo esempio reale di una dinamica relazionale in adozione: il ribaltamento dei ruoli.
Il figlio prende potere quando il genitore si mostra vulnerabile.
Ma quel potere non è sano, né maturo: è difensivo.
Eppure, spesso, è letale per la relazione.
Vedo molti genitori adottivi percepire questo gioco sottile e faticoso, ma non osano riconoscerlo.
Temono di passare per duri, cinici, disillusi.
Temono che ammettere queste cose significhi “non amare abbastanza”.
In realtà, è il contrario:
vederle significa amare in modo più profondo, non più cieco.
Significa smettere di farsi prosciugare,
e iniziare a stare nella relazione con lucidità e rispetto di sé.
Spero che molti genitori, leggendo, si sentiranno meno soli.
E forse qualche adottato, se pronto, potrà iniziare a chiedersi:
“Quante volte ho chiesto amore come dimostrazione, non come incontro?”