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Small Sacrifices

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Una riflessione sulle madri biologiche disfunzionali, tra narcisismo, abbandono e ferite invisibili

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Ieri sera ho visto su Prime Le mogli di Randy Roth, una ricostruzione della vicenda di un serial killer di mogli, curata da Ann Rule. Criminologa con una vasta esperienza investigativa, Ann Rule ha saputo raccontare il lato oscuro dell’essere umano con una penna acuta e compassionevole. Purtroppo, è venuta a mancare nel 2015: l’ho scoperto solo ora, e mi ha profondamente colpita. Per me, forse anche per la qualità della sua scrittura e competenza, era come immortale.

Nella mia libreria ho gli unici quattro libri tradotti in italiano (ne ha scritti più di 30, oltre a migliaia di articoli). Conosceva personalmente Ted Bundy, prima che compisse le sue ultime stragi in Florida. Una testimone preziosa della realtà criminale americana.

Piccoli sacrifici (Small Sacrifices) è uno dei suoi libri più sconvolgenti. Racconta la vicenda agghiacciante di Diane Downs, una giovane madre che, nel 1983, ha sparato ai suoi tre figli. Cheryl, una delle bambine, è morta. Christie, la sorellina, è sopravvissuta ma gravemente ferita. Il piccolo Danny è rimasto paralizzato. A leggere la ricostruzione sembra di trovarsi in un incubo lucido, in cui l’istinto materno è assente, sostituito da un disperato bisogno di attenzione, approvazione, controllo. E un vuoto spaventoso.
Aveva voluto quei bambini per dare a se stessa l’amore perfetto”, scrive Ann Rule.

Diane descriveva i suoi genitori come severi e distaccati, e il matrimonio con Steve, sposato a 18 anni, era instabile: lei si sentiva trascurata. La tragedia si consuma nell’Oregon, nella splendida cornice naturale della Willamette Valley e della Cascade Range, luoghi dove anni fa sono stata in vacanza con la mia famiglia. Nel 1989 la vicenda è diventata anche un film, Small Sacrifices, con Farrah Fawcett: è ancora reperibile su YouTube.
Indimenticabili le pagine del libro che raccontano la sparatoria in auto, con in sottofondo la canzone Hungry Like the Wolf dei Duran Duran. Una scena tanto assurda quanto agghiacciante.

Diane ha avuto sei figli in tutto:

  • uno abortito, che chiamò idealmente Carrie, certa fosse una femmina;
  • una partorita come surrogata, per altruismo o forse per espiare il senso di colpa dell’aborto: la chiamò Jennifer e ricevette 10.000 dollari;
  • Cheryl, uccisa da lei;
  • Christie e Danny, feriti a colpi di pistola (Danny non era figlio di Steve);
  • e infine Becky Babcock, nata in carcere e data subito in adozione.

Becky ha raccontato, in un’intervista all’Oprah Winfrey Show, di aver scoperto a otto anni di essere adottata. Più tardi è venuta a sapere chi era sua madre biologica: l’infanticida Diane Downs. Ha incontrato Ann Rule, che le ha detto una frase semplice ma forte: “Tua madre ti ha dato la vita, ma tu sei il risultato di come sei stata cresciuta.”
Becky oggi afferma che la cosa migliore che le sia capitata è essere stata tolta a Diane. Non importa da dove vieni, dice, ma chi scegli di essere. Cresciuta in una famiglia adottiva amorevole, Becky ha avuto il coraggio di raccontarsi pubblicamente. Un percorso che, realisticamente, in Italia sarebbe ancora impensabile, dove gli scheletri restano ben chiusi negli armadi.

Che ferita può lasciare una scoperta del genere?
Noi adottati sappiamo che i nostri genitori biologici, se hanno rinunciato a noi, lo hanno fatto perché si trovavano in situazioni di difficoltà estrema. Ma immaginare uno scenario così crudele, truce, agghiacciante, come quello di Becky, è spaventoso. Inconcepibile. Eppure reale.

Diane è stata descritta come narcisista, istrionica, sociopatica. Sorrideva alle telecamere mentre parlava dei figli in ospedale. Mostrava un disinteresse freddo, quasi inumano. I figli erano strumenti, pedine per legare gli uomini a sé, ottenere attenzioni, costruirsi un’identità.

Il marito Steve, da cui uno dei figli non era nemmeno biologicamente suo, ha detto che Diane trattava i bambini “come spazzatura”. Ma dov’era lui? Perché non li ha protetti?
Lui l’aveva lasciata più volte, e la tradiva. Forse aveva sottovalutato il pericolo. Forse non ha voluto vedere.

Diane è cresciuta in una famiglia rigida, con un padre autoritario e una madre remissiva. Cercava disperatamente attenzioni. Ma basta questo per giustificare l’assenza totale di empatia? No.
È però uno specchio deformante — e crudele — in cui si riflettono a volte le storie delle madri biologiche che generano ma non nutrono, che mettono al mondo ma non proteggono. Madri che non sanno amare.

Small Sacrifices non è solo una cronaca giudiziaria.
È un viaggio oscuro nel cuore di una maternità svuotata di ogni cura.
E per chi, come me, vive l’esperienza adottiva da due prospettive diverse e si occupa da anni di adozione, lascia aperte domande scomode:
• Quando una madre biologica fa male, chi protegge il bambino?
• Che traccia lascia, in un figlio adottato, la scoperta di provenire da una madre che ha rifiutato, tradito, persino tentato di uccidere?
• È possibile distinguere l’origine biologica dalla qualità dell’amore?

A tutte le persone adottate che portano dentro una storia difficile, violenta o disturbante, dico: la vostra verità conta. E non siete sole.
Grazie ad Ann Rule per averci restituito la voce delle vittime e la complessità del male.
Un libro sconvolgente di quasi 600 pagine che ho letto tutto d’un fiato.

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