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Un uomo che non dimentico

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Nel dicembre del 2006 siamo tornati dall’India con nostra figlia, accolta in affido preadottivo, come previsto dalla prassi che avrebbe completato l’adozione un anno dopo. A casa ci hanno accolti i familiari più stretti: i miei fratelli, i miei genitori, i suoceri. Non siamo in tanti, ma nella sala si sono diffuse gioia, curiosità, emozione.

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Qualche giorno dopo siamo andati a pranzo dai miei suoceri. In quel frangente è passato in bicicletta un loro vecchio amico. Non lo conoscevo, non l’avevo mai visto prima. Alto, sulla sessantina, un uomo che aveva lavorato in fabbrica per tutta la vita.

Quando vide mia figlia, non trattenne un verso dolce, carico di commozione. Un suono spontaneo, pieno di sentimento, come se quella visione lo avesse toccato dentro in modo improvviso e profondo. Subito dopo si mise a piangere, senza riuscire a dire una parola.

Ancora oggi, dopo tanti anni, il ricordo di quell’uomo mi commuove.

È come se, pur conoscendoci appena, avesse colto in un istante tutto: il peso e la bellezza del nostro viaggio, la nuova presenza di nostra figlia, ciò che era costato arrivare fin lì – a noi e a lei.

E forse piangeva anche per tutto ciò che quell’incontro portava con sé, senza essere detto: l’abbandono, l’attesa, la speranza, la paura, l’amore non ancora nato ma già vivo.

Lui non aveva bisogno di spiegazioni, non ha espresso opinioni né curiosità: ha solo sentito. E ha lasciato che quell’emozione gli attraversasse il corpo, il volto, gli occhi.

Piangeva nel vedere quella bimba di quasi quattro anni, dalla pelle color caffè, così fragile e innocente, appena arrivata. Piangeva davanti alla delicatezza di un bambino che viene da un altro mondo e che entra in punta di piedi in una nuova famiglia.

Non so ancora oggi spiegare fino in fondo cosa ho percepito in quel momento, ma era qualcosa di profondo, vero, difficile da nominare.

E forse è proprio questo che mi ha colpita così tanto: la sua capacità di sentire il peso e la bellezza di un incontro. Di riconoscere, in quell’istante, tutto ciò che l’adozione porta con sé.

Poi, così com’era arrivato, ha inforcato la bicicletta e se n’è andato.

È morto qualche anno fa. Ma quel gesto gentile, quella commozione sincera, quella lacrima — mi sono rimasti dentro.

Non lo dimenticherò mai.

Quel giorno non ho visto la scena di una favola. Ho visto un uomo adulto riconoscere la tragedia silenziosa vissuta da mia figlia. Chissà, forse anche lui portava dentro una perdita, un’assenza, un abbandono.
Quel pianto non celebrava l’adozione. Riconosceva il dolore.

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